La terza intervista della nostra ricerca su relazioni tra donne, leadership e autorità è a Paola Brambilla. Nata a Bergamo, una forte passione per la natura fin da piccola, studia giurisprudenza all’università ed è proprio qui che decide di occuparsi di legalità ambientale, impegnandosi a difendere l’integrità di Crespi d’Adda da un piano di sviluppo che avrebbe denaturato questo storico insediamento. Diventa avvocatessa e attivista del WWF fino a ricoprire il ruolo presidenziale di WWF Lombardia dal 2001 al 2019. Oggi è Coordinatrice del Comitato Giuridico Nazionale del WWF Italia, garante dei diritti degli animali per il Comune di Bergamo, docente di Master universitari e professionali, membro della Commissione VIA VAS e Coordinatrice della Sottocommissione VIA del Ministero dell’Ambiente, solo per citare alcuni degli incarichi che ricopre.
– L’ecofemminismo sostiene che una giustizia ambientale non si possa raggiungere senza che si proceda di pari passo con una giustizia sociale fatta di equità dei trattamenti e valorizzazione delle differenze, specialmente tra i sessi. Lei cosa ne pensa?
Forse perché ho una formazione giuridica, ma forse ancor più perché da ecoavvocato mi occupo quotidianamente di giustizia ambientale, sono convinta il ruolo delle donne sia cruciale e non solo però per il fatto di introdurre il tema della rappresentatività delle differenze in questo campo. Il femminile è sempre stato legato alla Natura e alla Giustizia, sin dal mito ancestrale della Ananke e Tuke, che compaiono nella protostoria omerica o nella teogonia di Esiodo (700 a.c.) come personificazioni della Necessità intesa come forza ineluttabile della legge naturale e Fatalità intesa come forza delle cose, ma anche Methys, la Giustizia, è donna; anche nella Grecia classica è la dea Athena a incarnare Giustizia e Sapienza, trasposta nella Minerva romana, con alcune disseminazioni però anche nelle figure di Giunone, Proserpina a cui vengono ricondotte le radici recondite delle leggi naturali. Anche nel monoteismo il femminile ha un ruolo divino, sebbene accantonato a lungo dalla patristica e dalla Chiesa: basti pensare alla Sophia, l’attributo divino della saggezza e della sapienza, “liberatrice e pacificatrice”, che è sempre stato femminile, come ben ha posto in risalto prima la Woman’s Bible del 1898 e di recente la bella pubblicazione Une Bible des femmes (2018, Labor et Fides, Ginevra), scritta da donne teologhe e docenti; ma anche alla figura della profetessa Debora, giudice di Israele per ben quarant’anni, dal 1160 al 1121 a.c. Lasciando il mito, anche nella tragedia Greca è una donna, Antigone, a sfidare le leggi tiranniche ed umane di Creonte nel nome delle leggi naturali ed immutabili in cui si sostanzia la vera giustizia. E l’elenco potrebbe continuare, alla pari della fecondissima storiografia che ci racconta del ruolo della donna come interprete e profonda conoscitrice del mondo naturale oltre che naturalmente come custode e maestra delle pratiche esperienziali e delle tradizioni legate al mondo naturale e agricolo, sia nel mito come nella realtà, da Ildegarda di Bingen (lungimirante anche per aver scelto il convento, così evitando ogni accusa di stregonieria) ai giorni nostri di Amartya Sen. Il diritto degli uomini, questo strumento positivo di legittimazione della predazione delle risorse naturali, figlio di un’economia ostile a recepire i concetti di limite e finitezza, di fronte alla crisi ecologica globale, alla perdita inarrestabile (siamo oltre il 60%) della biodiversità globale e dei servizi ecosistemici che il pianeta rende all’uomo, ha segnato il suo tempo. E’ scoccata l’ora del diritto dell’ambiente, o – per dirla con Fritjof Capra e Ugo Mattei, de “L’ecologia del diritto”, un nuovo ordinamento giuridico con regole ispirate ai canoni e alle logiche della natura, per poterla preservare e rinnovare quale unica via di salvezza oltre che compagna di vita. La donna porta con sé il valore della vita – il sistema riproduttivo femminile è quello più messo a rischio dall’inquinamento – e una capacità di ascolto e quindi di attenzione e cura, che secondo me – ne ho parlato al Corriere della Sera poco fa – ha a che fare con la sindrome di Dunning – Kruger; si tratta di una certa attitudine a sottovalutarci che, anche in chi di noi ha avuto istruzione ed empowerment, è comunque presente quale frutto di retaggi difficili da scacciare. In noi però, tenaci, motivate, appassionate, diventa uno strumento eccezionale perché ci spinge a verificare sempre, oltre alle nostre ragioni, anche le ragioni degli altri: della natura, dell’ecosistema, dei diversi, dei più fragili, delle nuove generazioni. Lungi dall’essere una debolezza, è una forza.
Questa è la protezione dell’ambiente, questa è la giustizia ambientale, intesa come accesso democratico alla gestione e alla difesa della risorse naturali. Certo, ci vuole una grande capacità di pensiero astratto, ma io credo che le donne vi siano portate in un certo modo anche più degli uomini. Le ultime acquisizioni delle neuroscienze hanno dimostrato che l’intelligenza è frutto non solo della capacità di acquisire moltissime informazioni e di processarle anche contemporaneamente (penso alla condanna al multitasking femminile) ma anche della capacità di dimenticare; perché è proprio dal processo di eliminazione delle informazioni irrilevanti che nasce il pensiero astratto, e quindi la capacità di essere giusti e di agire secondo giustizia.
– In merito, basandosi sulla sua esperienza personale, le vengono in mente fatti o eventi accaduti durante il suo percorso di attivismo? Vuole parlarcene?
Il mio è stato un attivismo basato su una precoce avversione per l’ingiustizia, cosa del resto agevole da capire perché è presente anche in animali come macachi, scimpanzè e bonobo, primati come noi e vicini al sentire dei nostri primi anni di maturità; forse anche estati trascorse sulle Alpi o in campagne rurali (sì, quelle dell’albero degli zoccoli) mi hanno risvegliato i neuroni specchio dell’immedesimazione con la natura e gli animali. Fatto sta che ho cominciato a salvare lombrichi all’asilo, e ho proseguito con un impegno personale e associativo sempre più marcato a tutela dell’ambiente, trovando però resistenze improntate al maschilismo più bieco anche dentro il mondo ecologista. Ricordo che nel 2003 aspettavo il mio primo figlio, Davide, ed ero da poco Presidente del WWF Lombardia (dal 2001), e con l’apparire del pancione un caro amico, un uomo progressista, di large vedute, docente universitario, l’unico da cui non me lo sarei mai aspettato, a latere di un Consiglio nazionale mi dice sorridente: “E adesso lasci vero?”. La frase, detta con tanta e tale naturalezza, mi brucia dentro anche ora. Ricordo di aver risposto “Non ci penso neanche, non è una malattia”, ma di aver capito come la strada era ed è ancora lunga. Altri episodi? Il momento delle foto ricordo o celebrative di convegni organizzati da grandi istituzioni politiche, e le richieste degli uffici stampa ai vari onorevoli o amministratori locali di mettersi in posa con me perché “è anche una donna”, quindi solo ad usum delphini, per dimostrare l’attenzione – esclusivamente nei titoli di coda – al ruolo delle donne nella tutela ambientale. Ci sono però ricordi bellissimi, quelli legati alle splendide attività che con altre donne abbiamo saputo costruire in momenti storici per l’ecologismo italiano e lombardo, dalla campagna per il referendum fatta soprattutto di una rete femminile, ad Expo 2015, in cui con Barbara Meggetto, Fosca Nomis, Chiara Pirovano, Gloria Zavatta, Claudia Sorlini, solo per citarne alcune, donne splendide, impegnate, sensibili e caparbie, abbiamo costruito sinergie confluite nella Carta di Milano. Non è frutto del caso che il testo di questa legacy reciti così
“Noi riteniamo inaccettabile che ci siano ingiustificabili diseguaglianze nelle possibilità, nelle capacità e nelle opportunità tra individui e popoli; non sia ancora universalmente riconosciuto il ruolo fondamentale delle donne, in particolare nella produzione agricola e nella nutrizione.”
– Lei è stata per 18 anni presidente di WWF Lombardia. La sua governance ha avuto effetti sulla politica interna dell’associazione in merito alla partecipazione di altre donne?
Spero di sì e anzi, ne ho la conferma. Due i passaggi. Nel 2009 mi ero candidata sia al Consiglio Nazionale, dove ero peraltro già stata, che al Consiglio Regionale, ed avevo ottenuto il massimo consenso in entrambi le sedi. In quell’occasione scelsi però di restare in Lombardia, come Presidente, non già per motivi familiari o legati alle necessità di accudimento della famiglia, ma unicamente perché volevo portare a termine una serie di progetti importanti per l’associazione che mi stavano a cuore: la riforma della rete locale, con la nascita di organizzazioni aggregate autonome sul territorio, ed EXPO 2015 che ho seguito con una delega nazionale. Questa scelta però ha contribuito a rafforzare la presenza delle donne nei ruoli di vertice dell’associazione: è aumentato il numero di donne Delegati regionali, è divenuta Presidente del WWF Italia una donna che è un mito, Donatella Bianchi, e Presidente della Fondazione WWF è un’altra donna, Gabriella Fabozzi. Io ora invece sono Coordinatrice del Comitato Giuridico del WWF Italia, un organo che si occupa proprio del legame inscindibile tra protezione dell’ambiente e giustizia ambientale, al servizio dell’associazione e delle sue policy, affiancando il tradizionale comitato scientifico: si tratta di una scelta importante che vuole rafforzare l’autonomia del valore della legalità ambientale, che non è uno strumento, ma un fine.
– Ha mai sentito la responsabilità, in quanto presidente di un’associazione molto importante a livello nazionale e internazionale, di essere una precorritrice in tema di leadership per il futuro sia professionale che nel campo dell’associazionismo di altre donne?
Se devo essere sincera, no, almeno a livello individuale. Mi spiego meglio, come dice Tom Oliver dell’Università di Reading esiste un’identità individuale e un’identità di rete. Io e in genere noi donne abbiamo questa identità di rete che subentra come una sorta di pilota automatica nel momento in cui rivestiamo posizioni di responsabilità. Le sentiamo subito come responsabilità per un “noi” che è la rete di noi donne impegnate, solidati, capaci di futuro, di sogni, di indignazione e di amore per i viventi, tutti. Mi sentivo e mi sento parte di un mondo femminile che sente collettivamente questa responsabilità verso altre donne. Questo nell’associazione, ma anche nel lavoro: guido, con una socia, uno studio tutto al femminile, in cui la lealtà, la solidarietà, l’aiuto e il supporto reciproco sono la chiave di una storia professionale che dal 2001 (sì, lo stesso anno della prima carica in associazione) ci ha fatte crescere, seppure in modo diverso dalle logiche degli studi dei business lawyers delle serie americane. Noi facciamo “pro bono”, assistiamo gratuitamente associazioni di tutela ambientale (WWF, FAI, Legambiente, LIPU, Mountain Wilderness e altre) patrocinando vertenze di particolare importanza per la tutela della natura, abbiamo una clientela prevalentemente fatta di amministrazioni pubbliche e comitati di cittadini, nella logica del public interest e della scelta di campo che, una volta fatta, ispira tutta la tua vita.
– Ci può raccontare un aneddoto in cui ha preso posizione per altre?
2015 circa, lo ricordo perché era ancora tra noi la bravissima e battagliera Jolanda Nanni; in un dibattito pubblico sullo spandimento di fanghi prima che intervenissero regole più stringenti un amministratore di una società produttrice interviene e chiama il Sindaco del Comune ospitante “Sindaco”, l’economista “Dottore” e un’agronoma “Signora”. Ricordo di averlo interrotto e di avergli detto: “la collega oltre che “Dottoressa”, cosa che stranamente le sfugge, è anche una signora, perché non le ha fatto notare il suo maschilismo. Chi non rispetta la parità di genere non rispetta neppure l’ambiente.”
– All’inizio degli anni ’90, quando lei era ancora una studentessa di giurisprudenza e attivista del WWF, ha intrapreso delle azioni contro un piano di sviluppo per la città di Crespi d’Adda che avrebbe compromesso il valore storico della città e il valore naturalistico del fiume Adda. Quali erano allora gli strumenti che si potevano utilizzare per impedire che l’ambiente venisse deturpato, non essendoci ancora delle leggi che regolassero questa materia (Codice dell’Ambiente, d.lgs. 152/2006)?
Eravamo un gruppo di ragazzi innamorati di questo bellissimo sogno utopico – rimasto fortunatamente quasi dimenticato per decine e decine di anni – sulla riva idrografica destra dell’Adda, immerso nel verde dell’unico corridoio naturalistico rimasto nella megalopoli padana, che nel fine settimana andavano a contare le emys nelle pozze dell’OASI Le Foppe di Trezzo. All’improvviso leggiamo su l’Eco di Bergamo di questo progetto di “svecchiamento” di Crespi affidato a un piano particolareggiato che stravolge l’antico villaggio operaio per trasformarlo in un bell’assembramento – come si dice oggi – di villette a schiera. Per scherzo o per terrore avevamo ribattezzato il progetto Crespuscolo d’Adda. Sì, non c’era il codice dell’Ambiente, non c’era nessuna legge contro il consumo di suolo, ma noi abbiamo scritto delle osservazioni al vetriolo parlando di beni culturali e paesaggistici, di archeologia industriale (erano gli anni della Milano da bere e dei palazzinari in cui veniva buttato giù di tutto) e di equilibrio modello tra gli ecosistemi umani e naturali, che hanno coalizzato associazioni ambientaliste, di tutela del paesaggio e culturali, oltre alla Soprintendenza e si sono fatte strada cancellando il progetto. In fondo il paesaggio è natura, prima di tutto, e la tutela del paesaggio è un valore primario tutelato dell’art. 9 della Costituzione. E’ stata la Costituzione la nostra grande arma. P.S. anche la Costituzione è femminile.
– Rispetto alle politiche ambientali, chi sono state e chi sono oggi le donne che per lei rappresentano un riferimento, sia intellettuale che per quanto riguarda le azioni e i risultati ottenuti?
Oltre alle grandi etologhe e scienziate di fama internazionale, Jane Goodall, Dian Fossey, e a Jolanda Kakabadse, politica ed ecologista che è stata presidente del WWF internazionale, Margherita Hack con la testa tra le stelle e il cuore tra gli animali, sicuramente le tante donne che come me sono in prima linea nella difesa dell’ambiente, giuriste come la splendida Marta Cartabia che da poco ha lasciato la presidenza della Corte Costituzionale, giornaliste impegnate come Paola d’Amico e Laura Guardini del Corriere o Barbara Mariotti de la Stampa, le colleghe ecoavvocate del WWF tra cui Patrizia Fantilli, Marzia Barbera, Laura Scomparin e tutte le giuriste del Coordinamento italiano delle cliniche legali, con cui si lavora per portare in aula, in Università, casi concreti di vertenze (anche ambientali) da risolvere pro bono per avvicinare le professioni legali a una deontologia del public interest, e poi l’avvocato Maria Athena Lorizio, che ha dato vita ad APRODUC, l’associazione che tutela gli antichi usi civici delle popolazioni locali all’acqua, al bosco, al pascolo, alla natura e fornisce assistenza e aiuto alle comunità locali impegnata in questa rivendicazione, ma anche le donne che lavorano tutti i giorni nella vigilanza ambientale, anche volontaria, contro il bracconaggio e gli inquinatori, in Italia e fuori dai nostri confini. Una per tutte Woraya Makal, detta Kwan, la ranger che a Kui Buri, Thailandia, difende la vita delle ultime tigri libere. Potrei continuare per ore, lasciando indietro sicuramente qualcuna.
– In un articolo pubblicato sulla Rivista Aria ha citato uno studio di Ecofys (Istituto internazionale di studi economici improntato alla sostenibilità) condotto unitamente al WWF internazionale, che ha messo in evidenza che cosa comporterebbe uno scenario di business as usual o di fast forward, scrivendo: “nelle economie di mercato proprie dei paesi come quelli europei, con una presenza pubblica nell’economia ed uno stato sociale avanzato, l’emergenza ambientale con i danni correlati porterà necessariamente il pubblico a dover investire nella riparazione dei danni, nella loro mitigazione e, dunque, a dover disinvestire inevitabilmente nella tutela dei diritti fondamentali. La prima a saltare, nello scenario di cui abbiamo detto, sarà l’istruzione pubblica gratuita, condannata alla privatizzazione; poi verrà il turno delle prestazioni sanitarie, previdenziali e assistenziali, reddito di cittadinanza compreso.” Come agisce lei oggi per contrastare questo processo che ormai pare così inevitabile?
La mia azione individuale, una goccia nell’oceano, oggi consiste nel difendere il bene ambiente a ogni livello. Nella mia attività professionale di ecoavvocato sempre schierata dalla parte verde, nella mia attività associativa con prese di posizione, contributi pubblici, partecipazione concreta ai procedimenti decisionali in materia ambientale con la presentazione di osservazioni e critiche (perché non basta mettere i like sui social) e se serve con azioni giudiziarie e denunce. Ambiente integro vuol dire anche salute. Da Garante degli animali del Comune di Bergamo al secondo mandato, inoltre, ho potuto contribuire alla messa a punto di un nuovo Regolamento di tutela animale, tra i più evoluti a livello nazionale. E’ un testo che ha acceso forti dibattiti sui concetti di maltrattamento animale (pensiamo al divieto di collare a strozzo, frutto di una teoria aberrante della dominanza e della sopraffazione che spesso viene messa in atto anche nelle dinamiche di coppia o familiari) ma che ha alla fine generato una nuova sensibilità e attenzione verso gli animali domestici e non che vivono sempre più negli ambienti urbani. Tra l’altro gli studi criminologici hanno posto in stretta correlazione la violenza sugli animali e la violenza domestica, specie sulle donne (il c.d. link) al punto che in alcuni casi siamo riusciti a venire a conoscenza di situazioni problematiche che, emerse, sono state affrontate grazie allo stretto rapporto coi servizi sociali (p.s. la comandante della polizia locale e la responsabile dell’ufficio ecologia sono donne). Da ultimo un’opportunità preziosa, e decisamente di largo respiro e grande margine d’azione, mi è stata offerta dal nuovo ruolo di Coordinatrice della Sottocommissione VIA al Ministero dell’Ambiente che rivesto dal maggio scorso. In questa veste ho messo in campo tutto il mio impegno – quotidiano – per assicurare che la valutazione ambientale delle grandi opere affidata alla CTVA assicuri rapidità e altissimi livelli di sostenibilità a quello sviluppo di cui abbiamo bisogno per uscire dalle piaghe, anche economiche, della pandemia. Ad oggi, in soli sei mesi, nonostante la situazione emergenziale e le difficoltà che comporta, abbiamo processato 180 pareri, tutti ispirati a questa nuova visione, un successo frutto di impegno comune di commissari e commissarie. Non è vero che la tutela ambientale costringe all’immobilismo, dobbiamo sfatare questa bufala. Si può fare, dunque, e bene.
La ripartenza offre un’opportunità di cambiamento reale verso modelli di coesistenza tra uomo e natura, ispirati alle nature based solution. Ci sono le competenze e la voglia di questo grande impegno collettivo, che però deve essere di tutti: delle grandi imprese (a cui si chiede una diversa progettualità, e le donne capitano d’industria sono bravissime), della pubblica amministrazione che deve mostrarsi aperta a riformare verso la digitalizzazione e la sostenibilità anche le proprie attività più tradizionali, dei cittadini e delle cittadine, che sono sempre più capaci di fare scelte etiche, nella comprensione del vantaggio che ne deriva, ovviamente aiutati da strumenti adeguati.
– Può indicarci uno scenario che potremmo definire “rivoluzionario” per cui questo processo di distruzione dell’ambiente e rivalutazione dei diritti fondamentali non si realizzerebbe? All’interno di questo scenario vedrebbe una maggiore incidenza della governance femminile?
La rivoluzione è già in atto. Il grande scenario ancora una volta è segnato dal diritto, dal prossimo appuntamento delle parti della Convenzione internazionale sulla biodiversità che si terrà nel 2021 a Kunming, in Cina, proprio nel paese dove il consumo di biodiversità portato all’estremo ha dato origine alla pandemia mondiale. Gli Stati della comunità internazionale cercheranno di siglare un grande accordo mondiale, come quello di Parigi sul clima, per invertire il trend del declino delle specie, attraverso regole di gestione sostenibile e di protezione del 40% delle terre e mari del pianeta, di cui un 10 % sottoposto a protezione assoluta. La rivoluzione è questa, un nuovi diritto amico del pianeta, una nuova giustizia ambientale, leggi umane coerenti con quelli naturali. Goethe, qualche secolo fa, nel Frammento sulla Natura (1792) l’aveva già capito: “Alle sue leggi si obbedisce anche quando ci si oppone, si collabora con lei anche quando si pretende di lavorale contro”. Remare controcorrente, da rari nantes, è solo pazzia, e forse l’abbiamo capito, noi donne per prime.