Amazzonia (e non solo): non siamo Di Caprio, ma possiamo fare molto, cambiando abitudini

Le fiamme che stanno distruggendo la foresta amazzonica ci pongono di fronte a un tema che non è certo di questi giorni, ma che ora sta esplodendo sotto gli occhi di tutti. Legambiente Bergamo spiega come ognuno di noi, con le piccole grandi scelte di vita quotidiana, possa fare molto per salvare il nostro pianeta.

L’Amazzonia è in fiamme, ettari di foresta pluviale ridotti in cenere in pochi giorni. Un ritmo drammatico che va ad aggravare un bilancio già preoccupante per uno dei più strategici ecosistemi al mondo. Il cuore verde del sud America è duramente depredato da tempo, violentato da incendi dolosi e deforestazione indiscriminata per far spazio a colture e allevamento intensivi. L’eco mediatica di questi giorni ha avuto il merito di portare a conoscenza dell’opinione pubblica mondiale un’attività che, purtroppo, è perpetrata da decenni, supportata da governi accondiscendenti (non solo Jair Bolsonaro che è additato come il maggior responsabile: la grande foresta si estende nel territorio di ben nove Paesi dell’America latina, tra cui la Bolivia di Evo Morales e il Venezuela di Nicolas Maduro).

Purtroppo, secondo l’Agenzia spaziale brasiliana a oggi si contano 74mila roghi dolosi, e nonostante la guerra dei numeri tra chi sostiene che siano tragicamente aumentati e chi ridimensiona il problema, l’unica vera evidenza è che la situazione sta mettendo a serio rischio milioni di specie animali e vegetali, con gravi conseguenze sulla riserva di ossigeno, acqua e biodiversità del pianeta, oltre alle popolazioni indigene: un milione di persone.

Per arrestare il fenomeno della deforestazione e difendere ciò che resta della foresta pluviale, Legambiente collabora con SOS Mata Atlantica (https://www.sosma.org.br/) che in questi anni ha piantato 22 milioni di alberi autoctoni in un’area di circa 130 Km quadrati per cercare di preservare gli ecosistemi. Se non possiamo, come ovvio, andare a spegnere di persona gli incendi divampati in Amazzonia (ma non dimentichiamo anche la Siberia e l’Alaska, notizie di solo qualche settimana fa) e non disponiamo del patrimonio di Leonardo Di Caprio che ha donato 5 milioni di dollari per la causa, possiamo iniziare con il cambiare il nostro stile di vita.

Ognuno nel suo piccolo può fare qualcosa: già ridurre sensibilmente il consumo di carne è una presa di posizione.

Le foreste sudamericane, infatti, sono assediate del mercato delle commodities agricole in cui il continente europeo gioca pesante. La soia che verrà coltivata sui suoli deforestati sarà in gran parte destinata a rifornire gli allevamenti europei, per far fronte ad una domanda di carne e prodotti caseari di cui le nostre stalle sono tra le migliori acquirenti. E lo stesso dicasi delle carni lavorate, a partire dai prodotti che spacciamo per “made in Italy”: una tendenza che non risparmia nemmeno eccellenze nazionali a marchio IGP prodotte con carni di zebù (Bos Taurus Indicus, grande bovino allevato in Sud America) e lavorate successivamente in Italia, come la bresaola.

Gli amici del movimento Friday For Future hanno il merito di tenere alta l’attenzione a livello globale sui problemi legati ai cambiamenti climatici, ma è importante che sia chiaro a tutti che,
dopo essere scesi in piazza con cartelli e slogan, la dura partita per affrontare e mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici si gioca anche in casa. Ed è forse il match più difficile, perché chiama in causa scelte di consumo individuali, stili di vita e scelte politiche: fa la differenza viaggiare in auto o prendere un mezzo pubblico o spostarsi in bicicletta; fa la differenza bere l’acqua del rubinetto e non imbottigliata nella plastica da fonti a centinaia di chilometri di distanza; fa la differenza acquistare prodotti sfusi piuttosto che avvolti in strati e strati di inutili imballi; fa la differenza piantare alberi o lasciare spazi verdi di respiro a ridosso delle città soffocate dal cemento, invece che innalzare altri capannoni o costruire l’ennesima autostrada.

Gli elementi per agire localmente sui problemi ambientali globali li abbiamo proprio sotto il naso: se i nostri amministratori volessero intervenire, dovrebbero immediatamente rivedere i Piani di Governo del Territorio, azzerando i diritti di edificabilità su aree verdi e diminuendo la quantità di cemento edificabile nei nostri comuni; se volessero potrebbero fermare progetti devastanti come quello dell’Autostrada Bergamo-Treviglio a favore di alternative più efficienti e meno impattanti. Se volessero e se noi cittadini glielo chiedessimo con pacata forza.

Ve lo sentite ripetere spesso? Non smetteremo di farlo. Fino a che non entreranno davvero in testa, per non fare la fine di tormentoni e slogan di piazza, che passano come le mode.

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